PILLOLE TEORICHE
Il conformismo digitale nel web
Image me: cosa condividi di te? Cosa racconti?
L’immagine di sé online può non corrispondere a quella del mondo fisico in quanto può essere continuamente ridefinita in base ai feedback che essa riceve che a ciò che in quel momento il soggetto vuole condividere con la community cui è inserito. Qui nascono tre dinamiche: il desiderio di conformità, la spirale del silenzio e l’effetto alone.
Il desiderio di conformità, ossia la volontà di emulare l’altro, può portare ad allentare inibizioni morali e autocontrollo: tutto pare legittimo, se si segue ciò che esprime il gruppo di riferimento. A volte si traduce per esempio nel cliccare “Mi piace” a contenuti senza riflettere, ma solamente in quanto pubblicati da una persona stimata. L’altra faccia della medaglia è la “googlizzazione dell’autostima” (Tisseron, 2016) la preoccupazione di non essere all’altezza delle attese della community, il risultato è ancora una volta conformismo. Questo porta ad aderire alle attese altrui: più alto è il numero di like, più alta sarà la nostra percezione di valore.
La rete tende ad aumentare quella che viene definita da E. Noelle-Neumann (1974) la spirale del silenzio proposta per la comunicazione offline. La teoria dimostra come una piccola community o un singolo tende a chiudersi in se stessa e a non esprimere la propria opinione quando percepisce che questa è diversa da quella della maggior parte dei soggetti. Questa dinamica porta a sovrastimare la percezione collettiva di un’opinione della maggioranza che non è per forza esatta e rinforza il silenzio di chi si crede in minoranza. Il rischio è che non vengano denunciati comportamenti scorretti per paura danneggiare la propria reputazione.
L’Effetto alone consiste nell’attribuire ad una persona o ad un oggetto un giudizio positivo o negativo prendendo come punto di riferimento un solo particolare. Il rischio è quello di cliccare “mi piace” a contenuti senza riflettere, ma solamente in quanto pubblicati da una persona stimata.
L’identità in rete
L’online non va mai in vacanza
L’identità è un concetto affascinante, con una pluralità di applicazioni e significati che promuovono una sua risonanza nella comunicazione e nei media in particolare. Da sempre giocata sui modelli alternativi dell’unità di coscienza e dell’unità narrativo-biografica, accomunati dal paradigma informazionale, viene radicalmente mutata alla luce delle nuove interazioni con le tecnologie. Se siamo fatti delle nostre informazioni, delle nostre memorie o storie, la pervasività delle informazioni registrate, offerte, richieste dalle tecnologie digitali conduce necessariamente a rimodulare il paradigma identitario sulla base dell’insieme di dati raccolti.
Nel testo La quarta rivoluzione Floridi allude alla rivoluzione che guida il passaggio dalla società dell’informazione a una nuova forma di società, che richiede un ripensamento dei paradigmi di filosofia della comunicazione e conduce alla descrizione di nuovi schemi di comportamento e identitari. Floridi parla di una nuova fase storica, e per sottolineare la rottura di questa nuova stagione rispetto alle epoche precedenti utilizza il termine di iperstoria: in questa nuova era, la nostra, la società e gli ambienti sono sensibilmente dipendenti dalle tecnologie digitali, che con le loro capacità di processare dati si fanno condizioni essenziali per la promozione del benessere sociale, inteso sia alla stregua di crescita individuale che nel senso di sviluppo sociale generale.
ONLIFE
L’ibridazione della società
Il termine onlife è un neologismo coniato dal filosofo italiano Luciano Floridi (2014): giocando con i termini online e life egli vuole intendere che non siamo più noi ad essere online, ma sono i media ad essere onlife. Viviamo quindi in un contesto ibrido.
Per spiegare il concetto, lo studioso utilizza una vincente e insolita metafora: paragona la società dell’onlife alla società delle mangrovie.
Esse crescono in un clima dove il fiume (di acqua dolce) incontra il mare (di acqua salata). In questo contesto non possiamo riconoscere se l’acqua sia dolce o salata, perché si tratta di una terza tipologia, l’acqua salmastra.
Allo stesso modo non possiamo distinguere nettamente quando siamo online o offline: siamo nell’ibridazione onlife.
Si tratta, dice Floridi, di una trasformazione ontologica perché trasforma il mondo, ne facciamo esperienza tutti i giorni pensando al rapporto tra digitale e reale o alla relazione tra uomo e macchina. Fino a qualche anno fa, si riusciva a tracciare semplicemente una linea di demarcazione che definisse i due termini; oggi è più complesso, come vedremo a breve.
Web reputation
Se sei online, ne hai una
Il termine web reputation non riguarda solo chi ha un profilo pubblico supportato da sponsor, influencer o grandi aziende, come si potrebbe pensare e come, di fatto, accadeva fino a qualche anno fa. Con web reputation, infatti, si indica la “reputazione” che ciascuno di noi ha nel momento in cui possediamo un profilo in un social network, ovvero nel momento in cui ci raccontiamo, occupiamo uno spazio – anche se digitale- e abituiamo la Rete lasciando delle tracce della nostra vita, della nostra personalità, del nostro percorso. La web reputation, dunque, è il prodotto della nostra presenza digitale ed è costituita dalla percezione che gli utenti del web hanno di noi: quando postiamo una immagine, condividiamo un post, mettiamo mi piace o una qualsiasi altra forma di apprezzamento, quando rispondiamo a una discussione, quando partecipiamo a un forum o un blog, ecco che ciascuna di queste azioni va a definire una parte della nostra immagine pubblica (perché condivisa con gli altri).
«La reputazione è quindi l’insieme di credenze, valutazioni e percezioni che un contesto sociale formula a proposito di un individuo, un’azienda, una istituzione. Presuppone un ambiente in cui il giudizio viene elaborato, comunicato, modificato. Si forma nelle conversazioni e nelle interazioni, emerge dal network di relazioni in cui l’individuo, l’azienda, l’istituzione sono inseriti, dunque per natura è condivisa» (Chieffi, 2020). Essa comporta tre livelli: quello informativo, quello valoriale (i valori che le informazioni riflettono) e quello relazionale (l’insieme dei soggetti con cui si è in relazione a partire dalle informazioni veicolate).